Famiglia per vocazione
cap. 4 Le "vocazioni" del matrimonio

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«La preparazione al matrimonio e alla famiglia non si può intendere se non in una visione della vita come vocazione » (PFMF 2).

« Creandola a sua immagine e continuamente con­servandola nell'essere, Dio iscrive nell'umanità dell'uo­mo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell'amore e della comunione » (FC 11).

« Senza la conoscenza e l'accoglienza del disegno di Dio sulla vocazione umana, sull'amore e sulla sessualità, la persona umana è come incapace di attingere la verità primordiale del suo io e del suo destino. Rischia di an­dare a tentoni, cercando se mai arrivi a trovarla, benché Dio non sia lontano da noi» (PFMF 2).

Questi riferimenti ci consentono di considerare le va­riabili e/o componenti che aiutano a scoprire e defini­re la vocazione al matrimonio.

Dopo la riflessione teologica, che per grandi cenni ha situato il sacramento del matrimonio nel solco del progetto di Dio sulla nuzialità, occorre ora indulgere sugli elementi che meglio aiutano a discernere la chia­mata allo stato matrimoniale. Talvolta, infatti, pur se animati da buona volontà, e nel desiderio di porsi all'a­scolto della voce del Signore che chiama, risulta un po­co difficoltoso riuscire a discernere quale sia davvero la volontà e il progetto di Dio sulla propria vita.1 giovani, che pur in uno slancio di verità e di onestà si sentono spinti verso le più solide e vere costruzioni dell'amore - tra queste la famiglia e la vocazione di speciale con­sacrazione, sentite come impegni totali di vita - quali figli del tempo presente, vivono e avvertono, a volte, contraddizioni culturali e orientamenti ideologici che li disorientano, li turbano, li rendono perplessi ad as­sumere decisioni così gravi e coinvolgenti.

 

In loro possono subentrare sentimenti di sfiducia, di inquietudini, di vero e proprio timore, che li porta a chiedersi se valga la pena di impegnarsi definitivamen­te per il domani. La cultura del provvisorio produce in­fatti gli amari frutti dello scetticismo, del disimpegno, dell'evasione.

Ecco, allora il tentativo di descrivere alcuni tratti sa­lienti e caratteristici di ciò che costituisce e soggiace al matrimonio cristiano, al fine di valutarne il significato e da questo dare una risposta il più possibile convinta, adulta, equilibrata, non emotiva alla domanda: Sono io chiamato al matrimonio, secondo il progetto di Gesù Cristo, come stato di vita permanente, in cui ritrovare il luogo della mia santificazione e della santificazione del mio partner?

Tuttavia, prima di procedere secondo l'obiettivo in­dicato, è doveroso premettere un'ulteriore considera­zione in ordine a un'esigenza: l'atteggiamento e la di­sponibilità.

È tutta questione di disponibilità e di atteggiamento.

Qualsiasi argomento che si voglia affrontare, qualun­que progetto che si voglia esaminare con serietà, soprattutto in merito alla severità della scelta, va affrontato con la disponibilità che fu del piccolo Samuele: « Par­la, o Signore! Il tuo servo ti ascolta».

 

Occorre mettersi in religioso ascolto della Parola di Dio creando momenti di silenzio per leggere, ascolta­re, meditare, contemplare la Parola del Signore. Si tratta di accogliere il Vangelo del matrimonio e della famiglia nella sua purezza ed integrità. Bisogna saper persona­lizzare la Parola aprendole il nostro io, il nostro cuore.

Allora, a somiglianza del seme della parabola evan­gelica, scesa nel più intimo del nostro io, la Parola si­lenziosamente opera, trasformando la terra arida dei nostri egoismi in terra generosa che produce molto frutto. È uno scavo profondo, implacabile e - al tem­po stesso - liberante: mette a nudo la parte più intima e segreta della nostra vita, affinché l'azione santifican­te di Cristo e del suo Spirito possa svilupparsi piena­mente.

Questa azione personale della Parola - se fatta in sintonia con la Chiesa e il suo magistero - diventa atti­va e contagiosa.

 

Il progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia ha un unico codice decodificante: la sua Parola. « La Chie­sa è profondamente convinta che solo con l'accoglienza del Vangelo trova piena realizzazione ogni speranza che l'uo­mo legittimamente pone nel matrimonio e nella famiglia» (FC3).

Questo cammino della lecito divina necessita inol­tre di silenzio e di preghiera. Un itinerario di fede per il discernimento della propria vocazione, anche in or­dine al sacramento del matrimonio, non può non esse­re anche una esperienza graduale e progressiva di pre­ghiera.

Paolo VI, nel discorso tenuto a Nazareth il 5 gennaio 1964, ebbe a dire: « Oh! se nascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile e indispensa­bile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti fra­stuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tu­multuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, in­tenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. In­segnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l'interiorità della vita, la preghiera che Dio solo vede nel segreto ».

E il papa Giovanni Paolo II nella Lettera Aposto­lica ai giovani e alla giovani del mondo (1985) scrisse: « Io vi chiedo di non interrompere il colloquio con Cristo in questa fase estremamente importante della vostra giovinezza; vi chiedo, anzi, di impegnarvi anco­ra di più. Quando Cristo dice seguimi, la sua chiamata può significare: ti chiamo ad un altro amore ancora; però molto spesso significa: seguimi, segui me che so­no lo sposo della Chiesa; vieni, diventa anche tu lo sposo della tua sposa, diventa anche tu la sposa del tuo sposo... Molto dipende dal fatto che voi - anche su questa via - seguiate il Cristo ».

 

IL MATRIMONIO: VOCAZIONE ALL'AMORE

 

Potrebbe apparire superfluo, o quanto meno scon­tato il fatto che, scrivendo di vocazione al matrimo­nio si ritenga di dover far cenno anche al matrimo­nio come vocazione all'amore coniugale. Eppure, se ci si guarda un poco intorno, si può osservare - in mi­sura sempre più preoccupata e preoccupante - quanta opacità, quanta confusione, quante interpretazioni riduttivistiche ruotano attorno alla parola più usata e più abusata del mondo: l'amore, appunto.

 

Può capitare che quando un uomo e una donna si incontrano, si sentano irresistibilmente e reciproca­mente attratti l'uno verso l'altra. Questo iniziale e pri­mitivo movimento o dinamica interpersonale non va confuso con l'amore. Ciò, infatti, è fenomeno autono­mo, indifferente e sordo che risponde in prima istanza a stimoli esteriori, a sensazioni fisiche, ad attrazione che fanno da supporto alla immedesimazione affettiva.

Non si può - ovviamente - parlare ancora di amo­re. È passione è desiderio, impulso e inclinazione inti­ma, movimento e inclinazione naturale che trova quie­te nell'incontro con l'altro desiderato. Tale movimento si manifesta in modi vari e indefiniti come risposta personale e irripetibile di ogni individuo nel comples­so psicologico delle emozioni e sensazioni e di ciascun soggetto, nel contesto di una polivalente realtà.

Si potrebbe forse parlare di innamoramento che co­nosce, di norma, queste tappe:

- adattabilità del desiderio al bene desiderato,

- simpatia, quale prosecuzione del desiderio,

- armonia e intesa affettiva con il bene desiderato.

 

L'innamoramento, infatti, è il processo graduale, ma in­controllato, assoluto e profondo, sempre nuovo e dif­ferente che sospinge un uomo verso una donna, con il desiderio di incontrarsi per comunicare. È il razionale seduttore che conosce solo la logica della irrazionalità.

Si potrebbe descrivere questo momento come amo­re-passione dove vi è una certa opacizzazione dell'amore vero e una primitiva attrazione dei sensi. La donazio­ne che colui che "ama" fa di sé non è reale. Si potreb­be dire che un tale sentimento crea un'illusione d'unio­ne che lascia due esseri estranei e divisi; quando una tale illusione svanisce, essi si sentono più estranei di prima e forse con qualche disagio in più.

 

Una tale situazione, pur se inizialmente inevitabile, e anzi, in qualche modo, necessaria al fine di una po­tenziale elettività, non può rimanere insoluta.

La embrionale convergenza tra potenza sensitiva e potenza intellettiva per la possessione gioiosa del bene desiderato, in un paziente e graduale itinerario, deve condurre al completamento della dinamica dell'innamo­ramento.

È impensabile, infatti, un innamoramento a oltran­za, un innamoramento permanente che sfuggirebbe a quella assunzione di responsabilità di un dono reale della stessa persona fatto all'altra, di un dono fatto in tutta la sua totalità e assolutezza.

Scrive Maritain: « La persona è innanzitutto e principalmente spirito ed è anche come spirito che essa si da, innanzitutto e principalmente, dandosi tutta intera. Quanto più lo spi­rito si eleva al di sopra della carne, tanto più l'autentico amore, nella sua forma estrema, si eleva al di sopra dell'amore-passione » (in Amore e amicizia).

 

Esso è una scelta cosciente che implica anche la ra­gione e la volontà. Solo in quest'orizzonte si può par­lare di evento elettivo; ed è proprio questa la sostan­ziale diversificazione che corre tra innamoramento e amore.

L'amore coinvolge tutto l'uomo.

Il primo - dicevamo - come processo incontrollato, profondo, in un certo senso irrazionale. Il secondo come evento elettivo, personale e libero, di quella piena li­bertà inferiore che è scelta e decisione responsabile.

L'amore - per dirla con E. Fromm - si fa così arte: l'arte di amare, l'arte di donare, l'arte di sentirsi vivi, perché « dare da più gioia che ricevere, perché non è privazione, ma perché in quell'atto mi sento vivo ». L'autore citato sopra, nel suo libro L'arte di amare, dopo aver rivelato la positività del sentimento dell'amore ne ridefinisce una immagine di attività e di potenza, di vi­talità e di ricchezza, di dono.

 

E. Mounier sostiene questo concetto e questo valo­re di amore invitando a guardare a questo sentimento nobilissimo come:

-    uscire da sé per diventare disponibili agli altri. So­lo colui che ha liberato se stesso rinunciando a sé e al proprio egoismo può concorrere alla liberazione degli altri e del mondo. E questo è amore;

-       comprendere: transitare, cioè, dal proprio punto di vista per porsi dal punto di vista dell'altro, non cer­cando nell'altro un altro se stesso, ma un abbraccio, un atto di accettazione, di fusione, pur nella propria singolarità personale;

-    prendere su di sé: assumere il destino, le sofferen­ze, le gioie, il dovere dell'altro, in una piena partecipa­zione di solidarietà, pur senza tuttavia sostituirsi all'al­tro, senza voler rendersi "'salvatore" dell'altro, ma con­sentendogli il debito e legittimo spazio di itinerario e di autonomia senza atteggiamenti manipolativi;

-    dare: dare con generosità o gratuità senza speran­za di ricambio, in una economia di offerta, non di cal­colo o compensazione; la generosità dissolve l'opacità e annulla la solitudine del soggetto, anche quando non trova risposta. È qui il valore liberante del perdono e della fiducia;

-       essere fedele: l'avventura della persona è una di­namica che va dalla nascita alla morte. Fedeltà e amo­re sono perfetti solo nella continuità, che è un rigene­rarsi continuo, dove l'oggi contiene meno del domani.

 

A ben vedere l'amore è voler amare; è ridecidere ogni giorno e ogni momento. L’amore non è mai pienamente raggiunto, mai perfetto, sempre perfettibile. Ogni giorno si ridefinisce volontariamente; ogni giorno si rinnova la scelta pur nella novità dei suoi possibili cam­biamenti, nella ri-accettazione del bene amato.

Un tale amore, una tale arte d'amare comporta ine­vitabilmente una predisposizione psicologica e spiri­tuale al sacrificio. Una visione robusta e autentica del­l'amore non può escludere il sacrifìcio allo stesso mo­do che il sacrificio non può escludere l'amore. Qui il termine sacrificio non è inteso nell'accezione presso­ché comune del sacrificarsi, mortificarsi, rinunciare; in questo contesto esso risponde alla sua etimologia che chiarifica il senso dell'offrire ciò che si ha di più sacro.

L'amore grande è proprio di colui che è disposto a offrire la propria vita. Occorre - a tal fine - rieducare l'amore nella dinamica del sacrifìcio/offerta. Si tratta di assumere la relazione uomo-donna come simbolo di reciproca offerta. Un'offerta totale, incondizionata, ir­reversibile, indissolubile, fedele di corpo e spirito. È una questione di itinerario verso l'adultità, l'equilibrio, la maturità della persona e tra persone. È un cammino che fonda la sua speranza e le sue attese - lo diremo ancora - su un rapporto sempre più profondo con sue certe assunzioni di responsabilità, certe scelte hanno senso solo se attuate all'interno di un cammino di fede e quindi di disponibilità all'azione dello Spirito Santo. Per questo occorre pregare, occorre un confronto e un sostegno che proviene dalla Parola di Dio e dai sa­cramenti, soprattutto dal sacramento della riconcilia­zione e dell'Eucaristia.

Non si può dimenticare che la fonte dell'amore è lo Spirito di Dio, perché Dio è amore.

 

IL MATRIMONIO: VOCAZIONE ALL'INTER-PERSONALITÀ

 

Non appaia fuorviante se si asserisce che vocazione al matrimonio significa anche vocazione a essere pie­namente uomo e donna. Fondare il matrimonio sulla vocazione, sulla libertà, sul primato della persona signi­fica riconoscergli quella natura di strumento di comu­nione e di maturazione personale che sono la struttura portante dello stesso istituto del matrimonio

Diviene allora indispensabile accantonare la pervi­cace concezione del matrimonio come fine-termine di qualche cosa per riguadagnare il senso dinamico di progetto di vita, perseguito mediante una comunione d'amore in cui ci si riconosce pari: l'uno e l'altra sog­getti di un processo comune di crescita che non con­sente strumentalizzazioni di sorta.

La sessualità appare qui in tutta la propria ampiez­za e pienezza di strumento espressivo della globalità della persona e insieme di segno della propria totale disponibilità.

 

L'arricchimento interpretativo ci giunge direttamen­te dal magistero del papa Giovanni Paolo II: « Occorre ritrovare continuamente in ciò che è erotico il significa­to sponsale del corpo e l'autentica dignità del dono... Se non si assume tale compito... l'uomo, maschio e femmi­na, non sperimenta quella pienezza dell'eros che signifi­ca lo slancio dello spirito umano verso ciò che è vero, buono e bello » (13 novembre 1980).

Tutto ciò non può avvenire se non in una prospet­tiva di durata: non si esauriscono infatti le potenzialità pressoché infinite dell'amore nei soli giorni della pas­sione iniziale; né può considerarsi concluso un cammi­no soltanto per gli ostacoli che possono sorgere nel suo corso. Anzi: il confronto delle personalità - che è stimolante e costruttivo — se si attua nella reciproca accoglienza, nel rispetto reciproco, nell'accettazione delle differenze complementari, ha bisogno di tempo, di oc­casioni, di comuni scelte per farsi comunione sempre più profonda e mai del tutto consumata

Riscoprire questa valenza del matrimonio, come rapporto interpersonale privilegiato fra uomo e donna può anche significare dare una diversa base agli aspet­ti giuridici, religiosi e istituzionali che lo regolano, in­tendendoli non più e non solo come un intervento ester­no della società a difesa di certi propri diritti, ma piut­tosto come strumenti di salvaguardia e in modo parti­colare di promozione delle qualità intrinseche del ma­trimonio come servizio alla persona.

Quando la comunità matrimoniale diventa davvero servizio alla persona?

È arduo e complesso tentare di dare delle risposte applicabili alle differenti situazioni. Occorre privilegia­re la strada - anche se più lunga - della descrittività delle relazioni che di fatto si creano all'interno della coppia

Diventare coniugi è un cammino che non può non prevedere continui mutamenti di equilibrio e di matu­razione al fine di pervenire a quella che opportuna­mente si definisce comunità familiare. Nel periodo del­l'innamoramento e dell'amore iniziale l'unità appare fa­cile; vi è grande omogeneità di vedute, di valutazioni, di interessi, di disponibilità.

 

L'aggressività e la conflittualità sono praticamente assenti. Perché? Perché la motivazione di fondo è sup­portata dal bisogno-di-stare-insieme. Molto spesso si sta con, perché si è incapaci di stare senza.

Ovviamente questo modello di dipendenza non può aiutare le persone. La crescita sarebbe così bloccata. È indispensabile - nell'itinerario arduo e complesso del crescere - scoprire la propria sana autonomia che è capacità di essere pienamente se-stessi-sempre: a ogni livello. Una differenziazione di comportamento, non si­gnifica meno-bene; il vedere le cose in ottica persona­le, non vuoi dire meno amore.

È solo in questo orizzonte che assume significato vero il concetto di comunione coniugale, che si realizza nella accettazione fiduciosa delle differenze e delle au­tonomie individuali, nell'accettazione del confronto e delle diversità, nell'ascolto reciproco.

 

La vera comunione coniugale è frutto della matu­rità e della responsabilità delle persone che hanno su­perato la paura di essere abbandonate. Relazioni di questo tipo fanno della famiglia un luogo di crescita e di promozione autentica.

La via regia è ancora il cammino dell'amore. Un amore che si snoda da un amore-da-  deficienza, per il quale il partner viene percepito come conferma ai pro­pri bisogni, per giungere a un amore-per-l'essere, che riconosce l'esistenza dell'altro nella sua unicità e irri­petibilità. L'altro da accogliere per quello che è, e non per quello che mi può dare. Non ti amo perché mi fai star bene, ma perché ti accolgo come sei e voglio il tuo bene.

La comunità coniugale cristiana, se vuole risponde­re alla sua vocazione e al suo compito deve diventare scuola d'amore; l'amore è segno credibile e rimando comprensibile al Dio che è amore.

Quali sono gli obbiettivi didattici, a medio e a lun­go termine, di questa scuola d'amore al fine di matura­re una autentica vocazione all' inter-personalita?

L'economia di questo sussidio non permette una trattazione esaustiva di un tema tanto appassionante e vasto; saranno qui sufficienti alcuni accenni descrittivi, che suppongono, comunque, un approccio sistematico e paziente, coraggioso e obiettivo.

 

La comunione inter-personale suppone una serie di accettazioni reciproche e scambievoli:

1.  Accettazione delle differenze complementari. È l'accettazione dell'essere uomo, dell'essere donna con tutto ciò che questo significa in ordine alla psicologia della persona: temperamento, carattere, sentimento, af­fettività, indole, interessi, attitudini, valori... Si tratta di saper accogliere e accettare il partner per quello che è, per ciò che ha.

 

2.  Accettazione della memoria storica. E l'accetta­zione del vissuto e del bagaglio culturale e storico dell'altro/a. Accoglienza, quindi della vita vissuta fino al momento dell'incontro di relazione: l'educazione, la cultura, il modo di considerare le cose, il valore religio­so, i progetti, le aspirazioni, i desideri. Nella consapevo­lezza che, fondamentalmente, i tratti significativi appre­si nella loro dimensione storica, non subiranno grandi mutamenti.

 

3. Accettazione della persona nella sua originalità ir­ripetibile. È l'accettazione della persona come persona­le universo. Accogliere, cioè, quella persona come uni­ca, come la sola a cui dare il proprio amore, la propria attenzione, la propria premura, il proprio rispetto. Ancora: a fronte di una responsabile scelta, occorre che vi sia la consapevolezza che non è possibile scegliere altri che quella persona per amarla e onorarla finché morte non separi e ad essa consegnarsi, donare, cioè, se stessi, la propria vita, la propria realtà più intima. Se non è scontata la capacità di darsi all'altro, non lo è neppure la disponibilità a ricevere l'altro.

 

Tra le modalità strumentali, nelle quali si concretiz­za l'intenzionalità di accettazione, di accoglienza e di comunione dei partner un valore del tutto speciale ha la comunicazione, al punto tale che la qualità della co­municazione e del dialogo rivela lo stato di salute di una coppia in relazione.

Non dovrebbe creare difficoltà accettare il fatto che per accogliersi davvero è indispensabile conoscer­si. E per conoscersi è altrettanto indispensabile rivelar­si: parlare di sé, autorivelarsi, comunicare le proprie idee, i propri interessi; esprimere i valori in cui si cre­de, le proprie speranze, le proprie attese... Parlare del­le proprie convinzioni, del proprio passato, dei propri progetti, dei propri modi di vedere le cose... La reci­proca autorivelazione diventa così occasione di cono­scenza scambievole tra i partner e rende interessante il rapporto, ponendolo al riparo dalla noia, dalla mono­tonia, dall'abitudine.

 

Per giungere a un tale traguardo occorre superare alcune paure o timori:

- il timore di essere fraintesi,

- il timore di essere valutati,

- il timore di non essere accettati.

Soprattutto nella fase iniziale di una relazione di coppia queste paure possono giocare un ruolo decisi­vo. Piace a tutti, per farsi accettare, nascondere qual­che tratto della propria personalità o non metterlo in evidenza.

Non è questa la via che conduce a scegliersi. Oc­corre avere il coraggio della verità. È meglio correre dei rischi in fase iniziale, nella consapevolezza che chi compie la scelta, la compie a ragion veduta: sceglie, cioè, proprio quell’universo personale a cui donarsi e ab­bandonarsi completamente, senza riserve.

Una seconda modalità strumentale per pervenire al­la conoscenza, mutuata dalla comunicazione e dal dialogo, è la capacità di ascolto. Tra l'altro saper ascoltare è l'abilità comunicativa che ci viene richiesta quando viviamo il ruolo di ricevente del messaggio e della per­sona.

Ascoltare in maniera empatica significa fare il vuoto dentro, perché l'altro possa aprirsi in tutta la sua unicità senza doversi adattare alle nostre attese o alle nostre va-lutazioni.

Ascoltare non è giudicare, interpretare, generalizza­re, identificare, consigliare. Ascoltare è « porgere l'orec­chio con animo tranquillo, con l'anima aperta, in atte­sa, senza passione, senza desiderio, senza giudicare, senza opinioni » (H. Hesse, in Siddhartà].

Ha scritto Bonheffer: « II primo servizio che si de­ve al prossimo è quello di ascoltare. Come l'amore di Dio incomincia con l'ascoltare la sua Parola, così l'ini­zio dell'amore sta nell'imparare ad ascoltare il fratello. Chi non sa ascoltare a lungo e con pazienza, parlerà senza toccare veramente l'altro; e infine non se ne ac­corgerà nemmeno più » (in La vita comune).

 

IL MATRIMONIO: VOCAZIONE ALL'UNITÀ

 

L'espressione biblica una sola carne non è da inten­dersi nel significato restrittivo ed esclusivo di unione carnale tra gli sposi. Essa ha un significato molto più ampio e include tutti gli elementi che costituiscono il rapporto tra marito e moglie: corpo e anima, sentimenti, amore, solidarietà, così da formare come un solo esse­re indivisibile. Nel disegno di Dio, perciò, il matrimonio è l'intima comunione d'amore e di vita tra marito e moglie che fa di essi una realtà nuova, stabile, indisso­lubile.

La legge che fonda il matrimonio è stata iscritta da Dio stesso nella natura più profonda dell'uomo e della

donna. Attraverso il patto coniugale essi reciproca­mente si danno e si ricevono sino a formare un unico essere nuovo. « L'intima comunità di vita e d'amore coniugale, fondata dal Creatore con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale, vale a dire dall'irrevocabi­le consenso personale; deriva da ciò un vincolo sacro: un vincolo che non dipende dall'arbitrio dell'uomo perché Dio stesso è l'autore del matrimonio » (GS 48).

 

Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio scri­ve: « La prima comunione è quella che si instaura e si sviluppa tra i coniugi: in forza del patto d'amore coniu­gale, l'uomo e la donna non sono più due ma una car­ne sola (cf. Mt 19, 6) e sono chiamati a crescere conti­nuamente nella loro comunione attraverso la fedeltà quotidiana alla promessa matrimoniale del reciproco dono totale. Questa comunione coniugale affonda le sue radici nella naturale complementarità che esiste tra l'uomo e la donna, e si alimenta mediante la volontà personale degli sposi di condividere l'intero progetto di vita, ciò che hanno e ciò che sono: perciò tale comunione è il frutto e il segno di una esigenza profondamente uma­na. Ma in Cristo Signore, Dio assume questa esigenza umana, la conferma, la purifica e la eleva; lo Spinto Santo, effuso nella celebrazione sacramentale, offre agli sposi cristiani il dono di una comunione nuova d'amo­re, che è immagine viva e reale di quella singolarissi-ma unità, che fa della Chiesa l'indivisibile Corpo mi­stico del Signore Gesù. Il dono dello Spirito è comandamento di vita per gli sposi cristiani, ed insieme stimolante impulso affinché ogni giorno progrediscano verso una sempre più ricca unione tra loro a tutti i livelli - dei corpi, dei caratteri, dei cuori, delle intelligenze e delle volontà, delle anime rivelando così alla Chiesa e al mondo la nuova comunio­ne d'amore, donata dalla grazia di Cristo » (FC 19).

 

Se può aiutare una riflessione ancora, si può ag­giungere: nella preghiera sacerdotale di Gesù, egli pre­ga e chiede di essere una sola cosa con Dio.

Non dice di avere un solo Dio. Analogamente si può dire che l'unità non si riduce ad avere una sola moglie, un solo marito, ma ad essere una sola cosa con lui, con lei. La comunione con le persone non porta ad avere, ma ad essere-una cosa-sola con lui-con lei.

 

Emmanuel Mounier nel suo libro Il personalismo invita a uscire da sé per diventare capaci di disponibi­lità nei confronti degli altri. « Solo colui che ha prima liberato se stesso può » essere capace di unità compren­dendo l'altro/a, « abbracciando la sua singolarità con la mia singolarità in un atto di accettazione e in uno sforzo di fusione. Essere tutto per il partner, senza cessare di es­sere ed essere me stesso» (p. 50).

Nell'amore trova unità la vita dei coniugi, le loro anime, i loro corpi. Il matrimonio, pertanto, è costante ricerca dell'unità e della pienezza unitiva. Continua­mente cercata, perché mai definitivamente ritrovata, l'unione coniugale instaura nel matrimonio una circola­rità interna perfettiva che, mentre alimenta l'amore, dall'amore è alimentata e perfezionata

La vocazione all'unità chiama i partner a mettere in comune tutto ciò che sono e tutto ciò che essi hanno. Il papa Giovanni Paolo II nell'omelia alla messa per le famiglie a Kinshasa ha detto che tale impegno è il con­tratto più audace che esista e nello stesso tempo il più meraviglioso. In termini concreti si può dire che la co­munione della coppia affonda le sue radici nella stessa naturale differenza e complementarità sessuale che consente all'uomo e alla donna di essere una sola carne.

 

Inoltre tale comune-unione è corroborata dal libero e responsabile impegno dei partner di mettere in comu­nione la propria stessa vita.

Eppure non può passare sotto silenzio il fatto che « la radice ultima, da cui scaturisce e a cui continua­mente si alimenta la comunione della coppia non sta soltanto nell'amore dell'uomo verso la donna e vicever­sa...; sta nel dono dello Spirito... » (cf CCCD).

L'apostolo Paolo nella stupenda pagina destinata a illustrare il grande sacramento del matrimonio sottoli­nea come la forza della comunione non sia un sempli­ce frutto della carne e del sangue, ma sia una parteci­pazione viva dello stesso mistero salvifico di Dio che in Cristo ama e crea l'unità del genere umano (cf Ef 3,3-4).

Verrebbe spontaneo l'affermare che l'amore uma­no da solo non basta. La volontà dell'amarsi, dell'ac­cogliersi, del donarsi, dello stare insieme non è soltan­to frutto di volontà. Paolo VI - rivolgendosi a nume­rose coppie dell'Equipes Notre-Dame - ebbe a dire: « Se la fonte umana rischia di disseccarsi, la fonte divina è altrettanto inesauribile quanto le profondità del miste­ro insondabili dell'affetto di Dio. Di qui possiamo capi­re verso quale comunione intima, forte e ricca, tenda la carità coniugale... ».

La coscienza profonda di questo dono-aiuto di Dio per sostenere, incrementare, corroborare l'unità e la comune-unione della coppia e nella coppia non elimi­na ma anzi stimola e provoca la libertà responsabile dei partner, perché con animo volenteroso accettino la nobile fatica di cementare giorno dopo giorno la vita di coppia sulla base di una comunione armonica sem­pre più viva e forte.

Ma tale dono va chiesto nella preghiera, fregare per l'amore, pregare per l'unità, pregare per la comunione, è un imperativo assoluto.

L'ha fatto Gesù nell'ultima cena, elevando la sua preghiera al Padre perché tutti siano una cosa sola (cf Gv 17,21).

 

IL MATRIMONIO: VOCAZIONE ALLA FEDELTÀ E ALLA INDISSOLUBILITÀ

 

Secondo il progetto divino il matrimonio è altresì una comunione d'amore indissolubile. « lo N. accolgo te N. e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita ».

Il sì che gli sposi hanno pronunciato quali ministri del sacramento non ha solo o soprattutto un valore cro­nologico. Esso costituisce il fondamento e la sorgente di una nuova condizione di vita che, in virtù del sacra­mento celebrato, i coniugi sono chiamati a condivide­re per vivere nel Signore.

Il significato del patto coniugale è così delineato dal Concilio Vaticano II: « L'intimità di vita e d'amore co­niugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi pro­prie, è stabilita dal patto coniugale, vale a dire dall'irre­vocabile consenso personale » (GS 48).

La Chiesa non è insensibile di fronte alle difficoltà che possono derivare dall'assunzione di vincoli defini­tivi. « A quanti ai nostri giorni ritengono difficile o ad­dirittura impossibile legarsi a una persona per tutta la vita e a quanti sono travolti da una cultura che rifiuta l'indissolubilità matrimoniale e che deride apertamente l'impegno degli sposi alla fedeltà, è necessario ribadire il lieto annunzio della definitività di quell'amore coniuga­le che ha in Gesù Cristo il suo fondamento e la sua for­za » (FC 20).

 

Non si può mai disattendere il fatto che il dono sa­cramentale del matrimonio è vocazione e comanda­mento, indirizzati l'una e l'altro a una responsabile li­bertà.

L'indissolubilità e la fedeltà matrimoniale può tro­vare fondamento nel concetto ontologico di indissolu­bilità?

Al di là e prima ancora del suo fondamento sacra­mentale e giuridico-canonico, la ragione della indisso­lubilità deriva dallo statuto stesso del matrimonio. In­fatti il matrimonio è l'unione dell'uomo e della donna nella sua pienezza. Ora tale unione non sarebbe piena se non fosse costituzionalmente e naturalmente indis­solubile. Non sarebbe piena se psicologicamente fos­sero avanzate ipotesi di fine o di scadenze o di ragiona­menti del tipo: se non funziona, me ne vado.

Gli stessi rapporti personali dei coniugi non sareb­bero pieni e disponibili. Si nutrirebbero remore, riser­ve, perplessità, attese. Sarebbe assai difficile donare se stessi, in piena libertà e verità, al partner.

Come pensare di giocare tutta la propria vita, di in­vestire tutte le proprie energie - corpo e anima - in un contesto di provvisorietà?

Dunque la considerazione del matrimonio nella sua ideale possibilità di pienezza comporta l'unicità del­l'unione. Unicità che significa totalità. È in questo ele­mento volitivo che risiede la pienezza dell'unione. È quel quotidiano farsi coniugi per il raggiungimento di questo fine.

E solo in questo contesto che prende corpo la vo­lontà di coltivare l'altro in modo che non gli manchi nulla, anzi volontà di vivere una solidarietà radicale, a oltranza, in un'adesione piena, dinamica e quotidiana. Così la « fedeltà non è solo esclusione del tradimento e dell'adulterio, ma essere fedele a lui/lei come è nella sua personalità e storia » (PFMP 6).

 

Per dirla con Emmanuel Mounier è «prendere su di sé, assumere il destino, la sofferenza, la gioia del part­ner, fedeltà è generosità o gratuità, L'economia della persona è una economia di offerta, non di compensazio­ne o di calcolo. La generosità dissolve l'opacità e annul­la la solitudine del soggetto, anche quando non trova ri­sposta, ^avventura della persona è un'avventura conti­nua dalla nascita alla morte; fedeltà alla persona, amo­re, amicizia, sono perfetti soltanto nella continuità; quella continuità che non è un di più, una ripetizione unifor­me come quella della materia o della generalità logica, ma un risorgere continuo. La fedeltà personale è una fe­deltà creatrice » (in Il personalismo, p. 51).

Sul piano dell'analisi personalistica l'aspetto che ap­pare più interessante è proprio quello dell'amore co­me tendenza a trascendersi, tendenza all'infinito. Ma un tale amore, per essere attuato in pienezza e libertà do­manda, appunto una libertà ulteriore, libertà da pas­sioni, da condizionamenti, dagli istinti.

L'amore umano implica anche la ragione ed è quin­di, assunzione di responsabilità nei confronti del tu, un'accoglienza piena e definitiva dell'altro, di tutto quel­lo che è l'altro: i suoi limiti, il suo passato, il suo futu­ro, anche se denso di incognite.

Nell'amore l'/o si rivolge al tu guardando a questo tu nella sua identità, singolarità, irripetibilità. L'uomo, per le sue facoltà spirituali, è essenzialmente apertura, comunicazione, dono di sé e si realizza pienamente co­me uomo solo amando e nella misura in cui egli ama. Ciò vale soprattutto per chi si sente amato. Infatti, aven­do la persona sempre coscienza di sé come valore, rie­sce a prendere coscienza sperimentale del proprio valore, sente di contare per qualcuno soprattutto quan­do si sente amata di amore personale.

 

L'indissolubilità fonda la sua essenza proprio su que­sto amore personale piuttosto che su una esigenza isti­tuzionale.

Un amore maturo invoca l'assunzione di un impe­gno indissolubile. Solo così l'amore dichiarato avrà e darà garanzia non di un: ti amo perché..., ma di un con­vinto ti amo, ti voglio bene, e voglio il tuo bene!

È soltanto quando si ha e si da sicurezza di non sca­denze che una persona sarà a fianco del partner sem­pre e comunque.

Allora una persona crederà, avrà fiducia e saprà porre gesti e segni aperti sull'eternità.

E. Mounier scrive ancora, a tal proposito: « Una persona non raggiunge la sua piena maturità se non nel momento in cui sceglie qualcosa cui restare fedele ».

Si tratta di superare la logica del dono di qualche co­sa, ma scegliere e decidere in modo incondizionato la via del dono di se stessi alla persona amata. Per questo motivo l'amore è di per sé irreversibile.

La fedeltà e l'indissolubilità sono, pertanto, una esi­genza profonda dell'amore umano.

 

IL MATRIMONIO: VOCAZIONE ALLA FECONDITÀ

 

« Con la creazione dell'uomo e della donna a sua im­magine e somiglianza, Dio corona e porta a perfezione l'opera delle sue mani; egli li chiama a una particolare partecipazione del suo amore e del suo potere di Creato­re e Padre, mediante la loro libera e responsabile coope­razione a trasmettere il dono della vita » (FC 28).

La vocazione al matrimonio è quindi vocazione al­l'amore. Questo amore tra gli sposi ha caratteristiche sue proprie, che lo difendono dal pericolo di trasformarsi in attrattiva erotica egoisticamente coltivata de­stinata a svanire presto e miseramente » (GS 49).

Secondo l'enciclica di Paolo VI Humanae Vitae, so­no queste le note caratteristiche dell'amore coniugale:

-  amore pienamente umano, cioè al tempo stesso sensibile   e   spirituale;   non   quindi   solo   trasporto dell'emozione, ma atto della volontà destinato a far crescere gli sposi nella gioia della comunione;

-  amore totale, nel senso che conduce gli sposi a condividere generosamente ogni cosa, senza indebite riserve e calcoli egoistici;

- amore fedele ed esclusivo, dal momento del reci­proco, libero consenso dinanzi a Cristo e alla comu­nità, fino al giorno della morte;

- amore fecondo che non si esaurisce nella unione sessuale tra i coniugi, ma rimane aperto alla vita.

Tre, allora, sono le articolazioni del concetto di fe­condità:

- fecondità dell'amore coniugale,

- fecondità dell'amore procreativo,

- fecondità dell'amore a servizio della vita.

 

1. Fecondità dell'amore coniugale

 

La fecondità, prima ancora che all'estremo, e più propriamente nella dimensione procreativa, si manife­sta all'interno della coppia. L'essere sposati in Cristo ha una sua prima fecondità nell'essere vita l'uno del­l'altro. Il patto coniugale è legame destinato a far vive­re. Essere è amare. « L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensi­bile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l'amore, se non si incontra con l'amore, se non lo esperi­menta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamen­te» (KB. IQ).

Questo - se vale per ogni uomo - vale in modo del tutto singolare per due persone che hanno scelto di vi­vere la loro vita insieme. L'amore è il principio interio-re che costituisce la coppia quale comunità che inten­de vivere in comunione; è la forza intcriore, vigorosa e soave che la sostiene nella prova e la rende felice nella gioia. L'amore è l'anima della coppia.

Ma non tutti conoscono la difficile arte d'amare!

Ecco l'impegno: i coniugi debbono mantenere fe­condo il loro amore verificandolo oltre ogni prospetti­va parziale « nella luce di una visione integrale dell'uo­mo e della sua vocazione, non solo naturale e terrena, ma anche soprannaturale ed eterna » (HV 7).

« L’uomo è chiamato all'amore in questa totalità uni­ficata» (FC 11).

Nutrire l'amore, renderlo fecondo significa soste­nerlo e corroborarlo con i gesti della quotidianità:

- la paziente scuola della conoscenza scambievole,

- l'accettarsi reciproco, rispettoso e incondizionato,

- l'aiuto vicendevole, l'ascolto attento, il dialogo e la comunicazione,

-la premura e la solidarietà, che si manifestano quan­to prima e al di sopra delle proprie urgenze, sensibi­lità, interesse attivo, attenzione costante,

- la fiducia sincera, la confidenza leale,

- il dono di sé in una reciprocità di offerta fino alla non esclusione del sacrificio.

Solo così, una dichiarazione d'amore, intesa come evento elettivo, interpreta il vero significato del voler bene, dell'amare: « Voglio il tuo bene ». È questo l'amore fecondo !

 

2. Fecondità dell'amore procreativo

 

La seconda fecondità è quella che effonde amore e vita al di fuori, perché viva qualcun'altro.

« Per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, gli sposi tendono alla comunio­ne dei loro esseri in vista di un mutuo perfezionamento personale, per collaborare con Dio alla generazione e all'educazione di nuove vite » (HV 8).

I  coniugi sono cooperatori dell'amore di Dio, Crea­tore della vita. Perciò « /'/ compito fondamentale della famiglia è il servizio alla vita, il realizzare lungo la sto­ria la benedizione originaria del Creatore, trasmettendo nella generazione l'immagine divina da uomo a uomo » (FC28).

E la Gaudium et spes afferma: « II vero culto del­l'amore coniugale e tutta la struttura familiare che ne nasce, senza trascurare gli altri fini del matrimonio, a questo tendono: che i coniugi - con fortezza d'animo - siano disposti a cooperare con l'amore del Creatore e del Salvatore, che attraverso di loro continuamente dilata e arricchisce la sua famiglia » (GS 50).

La coppia che si ama, la coppia che ama, ama la vi­ta, è aperta al suo perpetuarsi e al suo crescere: non teme il futuro perché l'amore la radica nella certezza. La grande tentazione odierna del ripiegamento osses­sivamente individualistico su se stessi, sui propri pro­blemi, sulla cosiddetta qualità della vita, illuministica­mente intesa, non soltanto uccide la vita, ma uccide la capacità d'amare.

L'amore fecondo e procreativo della coppia cristia­na assume non soltanto il significato di una sfida alla morte e al futuro, ma anche quello di profezia di un mondo nuovo e diverso, fondato sulla preminenza del­l'essere, più che dell'avere, del dare più che del riceve­re e/o possedere.

II matrimonio dei cristiani, il matrimonio sacramen­to è pietra non marginale di questa storia poiché è te­stimonianza e vivente immagine del Dio che si fa carne, del Dio che si dona per amore, del Dio che ama la vita.

 

3. Fecondità dell'amore a servizio della vita.

 

Essendo i coniugi cooperatori dell'amore di Dio, Creatore della vita « il compito fondamentale della fa­miglia è il servizio alla vita » (FC 28). Per questo il ser­vizio alla vita già nata, come a quella palpitante nel grembo materno, quella giovane e sana, come quella senescente, inferma, minorata, è un servizio in sé sa­cro. Se poi questa vita è inserita in Cristo, con il sa­cramento del battesimo, diventa tempio dello Spirito Santo. Quindi la mulilazione della vita umana per egoi­smo, la sua uccisione violenta e cosciente sono severa­mente proibite dall'autore della vita. Egli è la « sor­gente della vita » (Sai 36,10).

Quando e come una coppia cristiana si pone a ser­vizio della vita?

-  Quando promuove con ogni mezzo e difende contro ogni insidia la vita umana, in qualsiasi condi­zione e stadio di sviluppo si trovi;

- quando, pur nel contesto di una cultura che gra­vemente deforma o addirittura smarrisce il vero signi­ficato della sessualità umana, vive e presenta la sessua­lità come valore e compito di tutta la persona creata a immagine di Dio;

-  quando, generando nell'amore e per amore una nuova persona, i genitori si assumono il compito di aiutarla efficacemente a vivere una vita pienamente umana e cristiana;

- quando i genitori sono consapevoli del loro dirit­to-dovere educativo qualificato come essenziale, origi­nale, insostituibile e inalienabile;

- quando la coppia, che nella fede riconosce tutti gli uomini come figli del comune Padre dei cicli, allargherà il proprio amore al di là dei vincoli della carne e del sangue, sviluppando un concreto servizio verso i bisognosi e i deboli;

- quando, in forza del proprio ministero cristiano, che deriva dai sacramenti del battesimo, della cresima e del matrimonio ed è sostenuto e corroborato dal­l'Eucaristia, i genitori sono i primi araldi del Vangelo presso i figli, mediante la testimonianza della vita, ge­nerandoli così alla vita dello Spirito.

« In tal modo si dilata enormemente l'orizzonte del­la paternità e della maternità delle famiglie cristiane: il loro amore spirituale fecondo è sfidato da queste e da tante altre urgenze del nostro tempo » (FC 41).

 

IL MATRIMONIO: VOCAZIONE A ESSERE CHIESA DOMESTICA

 

« Nel disegno di Dio creatore e redentore, la famiglia scopre non solo la sua identità - ciò che essa è - ma an­che la sua missione - ciò che essa può e deve fare -. E poiché secondo il disegno divino, è costituita quale inti­ma comunità di vita e d'amore, la famiglia ha la missio­ne di diventare sempre più quello che è, ossia comunità di vita e d'amore, in una tensione che - come ogni realtà creata e redenta — troverà il suo compimento nel Regno di Dio »(FC 17).

La famiglia cristiana rivive in sé e manifesta il mi­stero della Chiesa proprio attraverso il matrimonio-sacramento celebrato nella comunità ecclesiale; vive la sua identità e svolge efficacemente la sua missione con il nutrimento spirituale dell'Eucaristia e la grazia della riconciliazione.

Per questo il Concilio ha qualificato la famiglia cristiana come una chiesa domestica (LG 11). I membri del corpo mistico di Cristo, in forza del bat­tesimo e degli altri sacramenti, diventano segni viventi dell'amore di Cristo. I coniugi e la famiglia cristiana, in forza del sacramento del matrimonio diventano segno di questo stesso amore con una loro specificità: « Gli sposi cristiani partecipano all'amore cristiano in modo originale e proprio, non come singole persone, ma assie­me, in quanto formano una coppia » (ESM 34).

 

Dove c'è Cristo, lì c'è la Chiesa. Poiché il sacra­mento unisce indissolubilmente l'uomo e la donna nel nome di Cristo, egli è presente tutti i giorni in mezzo a loro. Dove c'è lui con gli uomini, lì c'è la Chiesa. Allo­ra la famiglia - proprio per questa presenza misteriosa, ma reale del Signore Gesù in mezzo agli sposi - costi­tuisce il volto domestico di Chiesa.

In questo senso la famiglia cristiana ha una sua pro­fezia. Annunzia vivendo l'amore di Dio, manifestando­si nello sposalizio fecondo di Cristo con la sua Chiesa. Di esso è segno e rappresentazione. È memoria viven­te che si fa liturgia nella pazienza quotidiana, nella sopportazione reciproca.

In questo contesto il papa Giovanni Paolo II scrive: « Posto così il fondamento della partecipazione della fa­miglia cristiana alla missione ecclesiale », il suo conte­nuto è corroborato dal « triplice e unitario riferimento a Gesù Cristo profeta, sacerdote e re », per cui si può parlare della famiglia cristiana come:

- comunità credente ed evangelizzante,

- comunità in dialogo con Dio,

- comunità al servizio dell'uomo (FC 50).

E in questo contesto che ha senso sposarsi in chiesa. « II senso del matrimonio in chiesa è che la coppia rico­nosce nel proprio amore il segno e la presenza di un do­no più grande, l'amore di Dio che salva. Il sacramento del matrimonio rivela e offre in dono la novità portata da Cristo.

- L'amore coniugale non è estraneo all'amore di Dio, dice la presenza amante del Padre, del Figlio e dello Spi­rito Santo. Due battezzati non possono suggellarlo senza celebrarne il sacramento con gratitudine al Signore che ama per primo e invita a condividere il suo dono d'amo­re per comunicarlo agli altri.

-  Il patto d'amore coniugale trova nel sacramento come un'apertura a nuove dimensioni: gli sposi diventa­no l'uno per l'altro dono e comunicazione di Dio.

-  Gli sposi diventano, come coppia coniugale, una cellula della Chiesa, una Chiesa domestica, profezia vi­vente della civiltà dell'amore e segno del regno che vie­ne ogni giorno » (PFMF 7).

I giovani che si interrogano in ordine alla loro chia­mata eventuale al matrimonio e al matrimonio sacra­mento debbono avvertire acuto e profondo il senso del­la sacramentalità del patto e dell'alleanza che li attende e non possono porre in secondo piano la realtà che si configurerà proprio per il loro farsi coniugi nel Signore. Questo ideale trasformerà il nucleo familiare in Chiesa domestica, in Chiesa presente nella casa, dove i coniu­gi sono sacerdoti, testimoni di grazia l'uno all'altro e, insieme, verso i figli.

 

Il rapporto tra Cristo e la Chiesa dona luce e confor­to al rapporto tra l'uomo e la donna coniugati, santifi­candolo e rendendo la famiglia un segno eucaristico:

- perché nella famiglia c'è vicendevole santificazione,

- perché la famiglia è il luogo del dono gratuito e segno di carità,

-perché la famiglia è segno di unità fra uomo e don­na; unità di destino in quelli che condividono la vita, appunto in coloro che sono chiamati consorti; unità nel­le diverse vicende che costituiscono il ritmo quotidiano.

 

La famiglia, quale Chiesa domestica, è invitata a vivere

la propria esperienza umana come Eucaristia, come sacrificio offerto a Dio e a lui gradito, come culto spirituale.

L'apostolo Paolo raccomanda di non conformarsi alla mentalità del mondo, perché questo suggerisce di vivere esattamente il contrario dell'oblazione.

Invece, colui che si fa coniuge nel Signore, tutto quel­lo che compie in famiglia deve compierlo nel nome del Signore in continua offerta di lode e di amore.

 

La prima comunità cristiana di Gerusalemme dopo la pentecoste dovrebbe ispirare lo stile di vita di ogni comunità familiare cristiana.

1. Ascoltavano gli insegnamenti degli apostoli. Oc­corre dare spazio all'ascolto della Parola, alla evange­lizzazione, alla catechesi, all'apprendimento dei valori connessi con la fede. Fonte di tutte le virtù è la Parola di Dio. Tradotta nella vita porta a vivere, in parole ed opere, nel nome del Signore Gesù.

2.  Vivevano assieme fraternamente. È, questo, un atteggiamento derivato da una scelta di vita a livello dello spirito, che consente una condivisione a tutta pro­va, che aiuta a dimenticare sé negli altri, a lavare i pie­di al fratello; a spendere goccia a goccia la propria vi­ta; a superare le ore più dure; a diventare un unico corpo.

3. Spezzavano il pane. Significa partecipazione alla cena del Signore, che è dovere della comunità cristia­na in quanto tale e alla quale deve partecipare la fami­glia intera.

La famiglia è chiamata a rinsaldare nell'Eucaristia i vincoli che la uniscono e che vanno continuamente ali­mentati.

L'Eucaristia viene offerta agli sposi cristiani come alimento e garanzia, perché rinnova il dono dell'offer­ta di Cristo e impegna all'offerta generosa di se stessi.

L'Eucaristia diventa simbolo, fonte e confronto del­l'amore autentico. L'Eucaristia - sacrificio di Cristo -oltre che sostegno dell'amore coniugale, diviene altresì modello del dono vicendevole, gratuito, generoso.

L'amore degli sposi dovrebbe essere come l'amore di Dio, che ha donato il suo figlio Gesù, corpo dato e sangue versato, e tendere così alla perfezione.

4. Lodavano Dio. L'invito alla preghiera sollecita la preghiera della famiglia. La preghiera da alla famiglia la sicurezza, consente di fare posto a Dio, di lodarlo e di ringraziarlo per i doni ricevuti; di chiedere il pane, la pace, la liberazione dalla tentazione e dal male e tut­to quanto è necessario per la famiglia sul piano mate­riale e su quello spirituale e morale. Il pregare insieme favorisce l'intesa, alimenta l'amore, lo difende dalla corrosione; assicura la benedizione della fede e della speranza, la fortezza e la serenità nelle difficoltà.

5. Mettevano in comune i loro beni. La comunione non tocca solo i beni economici e non si riduce solo all'interno della famiglia; si allarga anche al bene spiri­tuale e morale del nucleo familiare.

E diventa missione:

-  anzitutto nei confronti del coniuge, dei figli, tra tutti i membri della famiglia;

- nella ospitalità e nella solidarietà con chi ha biso­gno;

-  nella apertura ad altre famiglie, alla parrocchia che ^.famiglia di famiglie e che per essere tale ha biso­gno che noi sentiamo come la nostra famiglia; apertu­ra alla diocesi;

- nell'impegno comune perché la società e la cultu­ra siano più favorevoli alla famiglia, alla sua unità, alla sua fedeltà nell'amore; più attenta in fatto di casa, di lavoro, di assistenza.

 

Così la famiglia può costituirsi come Chiesa dome­stica, segno evidente ed efficace dell'amore di Dio sul­le strade degli uomini.

 

CONCLUSIONE

 

Queste riflessioni ci hanno condotto a riscoprire il legame profondo di reciprocità che esiste tra Chiesa e famiglia come espressioni diverse di un unico disegno di comunione che Dio ha sugli uomini e sulla storia.

Nel disegno di comunione che Dio ha sul mondo la famiglia e la Chiesa si trovano coinvolte in una in-scindibile unità: la comunità cristiana aiuta la famiglia a riscoprire la propria vocazione e a sviluppare le sue potenzialità, ad aprire i suoi orizzonti, a convergere nel­la comunità, in altri termini ad essere più Chiesa. La famiglia da alla comunità un volto più umano e acco­gliente, la rende più famiglia.

Si tratta di trasmettere ai giovani che si preparano al fidanzamento e ai fidanzati che si preparano al ma­trimonio gli aspetti della vocazione a questo grande sa­cramento.

« Nella sua azione pastorale la Chiesa deve non solo assicurarsi della validità dei gesti sacramentali, ma an­che impegnarsi in una continua evangelizzazione e cate­chesi»(ESM56).

 

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Dal Catechismo della Chiesa Cattolica

 

I BENI E LE ESIGENZE DELL'AMORE CONIUGALE

 

1643   « L'amore coniugale comporta una totalità in cui en­trano tutte le componenti della persona - richiamo del cor­po e dell'istinto, forza del sentimento e dell'affettività, aspi­razione dello spirito e della volontà -; esso mira a una unità profondamente personale, quella che, al di là dell'unione in una sola carne, conduce a non fare che un cuore solo e un'anima sola; esso esige l'indissolubilità e la fedeltà della donazione reciproca definitiva e si apre sulla fecondità. In una parola, si tratta di caratteristiche normali di ogni amore coniugale, ma con un significato nuovo che non solo le pu­rifica e le consolida, ma anche le eleva al punto da farne l'e­spressione di valori propriamente cristiani » (Familiaris con­sortio, 13).

 

L'UNITÀ E L'INDISSOLUBILITÀ DEL MATRIMONIO

 

1644   L'amore degli sposi esige, per sua stessa natura, l'u­nità e l'indissolubilità della loro comunità di persone che in­globa tutta la loro vita: « Così che non sono più due, ma una carne sola » (Mt 19,6; cf Gen 2,24). Essi « sono chiamati a crescere continuamente nella loro comunione attraverso la fedeltà quotidiana alla promessa matrimoniale del reciproco dono totale » (Familiaris consortio, 19). Questa comunione umana è confermata, purificata e condotta a perfezione me­diante la comunione in Cristo Gesù, donata dal sacramento del matrimonio. Essa si approfondisce mediante la vita della comune fede e l'Eucaristia ricevuta insieme.

 

LA FEDELTÀ DELL'AMORE CONIUGALE

 

1646 L'amore coniugale esige dagli sposi, per sua stessa na­tura, una fedeltà inviolabile. È questa la conseguenza del dono di se stessi che gli sposi si fanno l'uno all'altro. L'amore vuole essere definitivo. Non può essere « fino a nuovo ordi­ne ». « Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità » (Gaudium et spes, 48).

1647   La motivazione più profonda si trova nella fedeltà di Dio alla sua alleanza, di Cristo alla sua Chiesa. Dal sacra­mento del matrimonio gli sposi sono abilitati a rappresenta­re tale fedeltà e a darne testimonianza. Dal sacramento, l'in­dissolubilità del matrimonio riceve un senso nuovo e più profondo.

1648   Può sembrare difficile, persine impossibile, legarsi per tutta la vita a un essere umano. È perciò quanto mai ne­cessario annunciare la buona novella che Dio ci ama di un amore definitivo e irrevocabile, che gli sposi sono partecipi di questo amore, che egli li conduce e li sostiene, e che at­traverso la loro fedeltà possono essere i testimoni dell'amo­re fedele di Dio. I coniugi che, con la grazia di Dio, danno questa testimonianza, spesso in condizioni molto difficili, meritano la gratitudine e il sostegno della comunità eccle­siale (Familiari! consortio, 20).

2331   « Dio è amore e vive in se stesso un mistero di comu­nione e di amore. Creandola a sua immagine... Dio iscrive nell'umanità dell'uomo e della donna la vocazione e, quin­di, la capacità e la responsabilità dell'amore e della comu­nione » (Familiaris consortio, 11).

« Dio creò l'uomo a sua immagine... maschio e femmina li creò » (Gen 1,27); « siate fecondi e moltiplicatevi » (Gen 1,28); « quando Dio creò l'uomo, lo fece a somiglianzà di Dio; maschio e femmina li creò, li benedisse e li chiamò uo­mini quando furono creati » (Gen 5,1-2).

2332   La sessualità esercita un'influenza su tutti gli aspetti della persona umana, nell'unità del suo corpo e della sua anima. Essa concerne particolarmente l'affettività, la capa­cità di amare e di procreare e, in un modo più generale, l'at­titudine ad intrecciare rapporti di comunione con altri.

2333   Spetta a ciascuno, uomo o donna, riconoscere ed ac­cettare la propria identità sessuale. La differenza e la com­plementarità fisiche, morali e spirituali sono orientate ai be­ni del matrimonio e allo sviluppo della vita familiare. L'ar­monia della coppia e della società dipende in parte dal mo­do in cui si vivono tra i sessi la complementarità, il bisogno vicendevole e il reciproco aiuto.

2334  « Creando l'uomo "maschio e femmina", Dio dona la dignità personale in eguai modo all'uomo e alla donna » (Familiaris consortio, 22; cf Gaudium et spes, 49). « L'uomo è una persona, in eguale misura l'uomo e la donna: ambe­due infatti sono stati creati ad immagine e somiglianza del Dio personale » (Multerà dignitatem, 6).

2335  Ciascuno dei due sessi, con eguale dignità, anche se in modo differente, è immagine della potenza e della tenerezza di Dio. L'unione dell'uomo e della donna nel matrimonio è una maniera di imitare, nella carne, la generosità e la fecon­dità del Creatore: « L'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una sola car­ne » (Gen 2,24). Da tale unione derivano tutte le generazio­ni umane (cf Gen 4,1-2; 4,25-26; 5,1).

 

L'APERTURA ALLA FECONDITÀ

 

1652 « Per sua indole naturale, l'istituto stesso del matri­monio e l'amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coro­namento » (Gaudium et spes, 48).

I figli sono il preziosissimo dono del matrimonio e con­tribuiscono moltissimo al bene degli stessi genitori. Lo stes­so Dio che disse: « Non è bene che l'uomo sia solo » (Gen 2,18) e che « creò all'inizio l'uomo maschio e femmina » (Mt 19,4), volendo comunicare all'uomo una certa speciale par­tecipazione nella sua opera creatrice, benedisse l'uomo e la donna, dicendo loro: « Crescete e moltiplicatevi » (1,28). Di conseguenza la vera pratica dell'amore coniugale e tutta la struttura della vita familiare che ne nasce, senza posporre gli altri fini del matrimonio, a questo tendono che i coniugi, con fortezza d'animo, siano disposti a cooperare con l'amo­re del Creatore e del Salvatore, che attraverso di loro conti­nuamente dilata e arricchisce la sua famiglia (Gaudium et spes, 48).

1653   La fecondità dell'amore coniugale si estende ai frutti della vita morale, spirituale e soprannaturale che i genitori trasmettono ai loro figli attraverso l'educazione. I genitori sono i primi e principali educatori dei loro figli (Gravissi-mum educationis, 3). In questo senso il compito fondamen­tale del matrimonio e della famiglia è di essere al servizio della vita (Familiaris consortio, 28).

1654   I coniugi ai quali Dio non ha concesso di avere figli, possono nondimeno avere una vita coniugale piena di sen­so, umanamente e cristianamente. Il loro matrimonio può risplendere di una fecondità di carità, di accoglienza e di sa­crificio.

 

LA CHIESA DOMESTICA

 

1655   Cristo ha voluto nascere e crescere in seno alla Santa Famiglia di Giuseppe e di Maria. La Chiesa non è altro che la « famiglia di Dio ». Fin dalle sue origini, il nucleo della Chiesa era spesso costituito da coloro che, insieme con tutta la loro famiglia, erano divenuti credenti (cf At 18,8). Allor­ché si convertivano, desideravano che anche tutta la loro fa­miglia fosse salvata (cf At 16,31 e 11, 14). Queste famiglie divenute credenti erano piccole isole di vita cristiana in un mondo incredulo.

1656  Ai nostri giorni, in un mondo spesso estraneo e persino ostile alla fede, le famiglie credenti sono di fondamentale importanza, come focolari di fede viva e irradiante. È per questo motivo che il Concilio Vaticano II, usando un'antica espressione, chiama la famiglia « Ecclesia domestica » -Chiesa domestica (Lumen gentium, 11; Familiaris consortio, 21). È in seno alla famiglia che « i genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con l'esempio, i primi annun­ciatori della fede, e secondare la vocazione propria di ognu­no, e quella sacra in modo speciale » (Lumen gentium, 11).

1657 È qui che si esercita in maniera privilegiata il sacerdo­zio battesimale del padre di famiglia, della madre, dei figli, di tutti i membri della famiglia, « con la partecipazione ai sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la te­stimonianza di una vita santa, con l'abnegazione e l'operosa carità » (Lumen gentium, 11). Il focolare è così la prima scuola di vita cristiana e « una scuola di umanità più ricca » (Gaudium et spes, 52). È qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l'amore fraterno, il perdono generoso, sem­pre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la pre­ghiera e l'offerta della propria vita.